venerdì 10 ottobre 2008
IL GIALLO DEL TIR GIALLO di Valter Delle Donne
IL "GIALLO" DEL TIR GIALLO Romano Prodi ripete in continuazione la favoletta. Da una parte c’è lui, Robin Hood; dall’altra il principe Giovanni, Silvio Berlusconi, pieno di soldi e di televisioni. Per fortuna, il Professore può vantare, parole sue: «su 90mila volontari che vanno in giro spontaneamente» ad appoggiare la sua candidatura alla guida dell’Unione prima, e dell’Italia poi. Messa così, ci sarebbero da raccontare novantamila storie di eroismo quotidiano. Partiamo da Alessandro Fagioli da Sant’Ilario d’Enza, provincia di Reggio Emilia. Per chi non lo sapesse, il signor Fagioli è il fornitore del famoso Tir giallo. Un colore non casuale, visto che c’è un “giallo” sul prezzo pagato da Prodi: è stato «noleggiato per 95mila euro» o «acquistato per 120mila», come hanno riportato alcune agenzie di stampa? In attesa di capirci qualcosa in più, anziché il noioso depliant elettorale distribuito dalla propaganda prodiana, sarebbe stata molto più appassionante la biografia di Alessandro Fagioli. A lui fa capo il gruppo omonimo che opera da cinquant’anni in tutto il mondo nel settore dei trasporti eccezionali e della logistica. L’ultima impresa è stata quella del trasporto del sommergibile Toti. Amico personale di Romano Prodi, il volontario Fagioli, oltre a essere un tycoon dei trasporti è consigliere d’amministrazione, tra l’altro, della Banca popolare dell’Emilia Romagna e della Banca popolare di Crotone. A 67 anni, Fagioli è un pezzo da novanta dell’economia italiana. Sul sito dell’azienda si presenta con un espressione accigliata, la fede nuziale bene in vista e un profilo incolore: «La sua esperienza imprenditoriale, quasi cinquantennale, inizia nell’ormai lontano 1955 quando, anche insieme al padre Giovanni e al fratello Gianfranco, contribuisce alla nascita della prima ditta per il trasporto merci». Come tutte le imprese familiari, le vicende umane vanno di pari passo con quelle economiche. L’espansione dell’azienda non sfugge alla criminalità organizzata: l’8 febbraio 1978 il padre Giovanni viene rapito da una banda di giostrai. La liberazione avviene dopo quaranta giorni, dietro pagamento di un riscatto di 400 milioni di lire. Ma la famiglia conosce anche l’onta del carcere. Nel ’93, nel periodo giustizialista di Mani pulite, Gianfranco, in qualità di vicepresidente dell’azienda, viene accusato di «concorso in corruzione e violazione della legge sul finanziamento ai partiti». L’imprenditore è accusato di aver pagato 600 milioni di lire ad esponenti della Dc e del Psi. Una vicenda amara, conclusa con un patteggiamento. Alessandro, che ha un ruolo meno importante, se la cava con qualche avviso di garanzia, ma la ditta Fagioli è esposta anche ad altre tempeste giudiziarie. Nel novembre ’93 è la Digos anziché le Fiamme gialle a piombare negli uffici di Reggio Emilia: su mandato del giudice Felice Casson, dopo il sequestro a Porto Marghera di materiale nucleare destinato in Iran. Merce destinata all’industria civile ma, secondo il pm veneziano, in realtà materiale bellico destinato al governo di Teheran. I reattori nucleari erano stati trasportati da Genova a Marghera dalla ditta Fagioli. Inconvenienti che capitano a chi sta in affari, si sa. A distanza di dodici anni il giudice (oggi nel consiglio comunale veneziano con Rifondazione comunista) e l’inquisito, si trovano dallo stesso lato della barricata: potenza dell’antiberlusconismo. L’ultima vicenda giudiziaria si consuma nel 2004: l’azienda Fagioli, appare nell’elenco di società coinvolte dal manager Lorenzino Marzocchi nella vicenda Enipower. Avrebbe pagato una tangente del 3,5 per cento di un appalto. Ma il vicepresidente del gruppo, Gianfranco, viene stroncato da un infarto pochi giorni prima del processo. Gli intermediari di Marzocchi, spiegano fonti del tribunale, hanno avuto contatti solo con l’amministratore delegato dell’azienda. Sembra di rileggere le carte di certi processi che riguardano le aziende di Berlusconi. In questo caso, per fortuna, nessuno ha tuonato con il classico: «Non poteva non sapere ». Ai funerali c’è il gotha degli ex-democristiani dell’Emilia Romagna: in prima fila Romano Prodi, ma ci sono anche Pierluigi Castagnetti e Renzo Lusetti. Oggi il volontario Alessandro Fagioli distribuisce le sue energie «attraverso — si legge nella sua biografia — le sette società italiane ed estere e le cariche di amministratore unico e consigliere in numerose altre società del gruppo». Questa è la storia di uno dei 90mila volontari che aiutano spontaneamente il Robin Hood-Prodi. Leggendo la sua biografia, resta un ultimo dubbio. Quel «Fagioli Alessandro, imprenditore, Parma», che risulta nella documentazione della Commissione d’inchiesta di Tina Anselmi sulla P2 è la stessa persona? «Il 3 gennaio 1980 — si legge nel monumentale dossier della Camera dei deputati — venti fratelli della Loggia coperta “Virtus”, gli stessi della Loggia coperta Tricolore Reggio Emilia, passano all’Oriente di Bologna, con decreto magistrale 3515 del 12 novembre 1982». Uno di questi venti è un omonimo del volontario prodiano. Se pure fosse lui, non è reato essere massone. E comunque non cambierebbe nulla per nessuno. Ma sarebbe paradossale se quel tir giallo impiegato nella battaglia contro “il piduista Berlusconi”, fosse stato fornito da un “fratello” di Loggia. FONTE: IL SECOLO D'ITALIA
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