Quando iniziai a scrivere sulla mia vita era il 10 novembre 1985.
Entro qualche giorno avrei dovuto prendere servizio presso il Ministero di Grazia e Giustizia. Dopo tanti anni ritornavo a Roma, sulla mia auto, animata da uno solo dei miei due cani che mi avevano tenuto compagnia prima a Trento, poi a Trapani.
Correvo velocemente tra quelle bianche saline che forse non avrei più rivisto. Quante volte mi sembrava di averle percorse, attraversandole con l'auto di servizio a sirene spiegate! Eppure, ciò era avvenuto solo per trentasette giorni, e cioè fino a sei giorni prima che il regalo mi venisse recapitato.
Trapani sfuggiva rapidamente al mio sguardo ed io fuggivo rapidamente da lei.
Fu in quel momento che decisi di mettere insieme appunti, ricordi, riflessioni, su quanto mi era accaduto. Avevo appena lasciato la Procura di Trapani.
Lì avevo, in solitudine, trascorso il più difficile periodo della mia vita, che era culminato nella cessazione dello svolgimento delle mie funzioni giudiziarie.
Nella mia definitiva resa.
E, così, iniziai questa ricostruzione, riandando indietro nel tempo.
Allontanarmi da quegli eventi, dapprima, rappresentò, per me, nel momento del distacco da una attività che aveva riempito per anni la mia vita, un impegno mentale ed insieme una molla per tentare, ricostruendo il passato, anche di capire l'intreccio dei fatti che mi erano capitati.
Ben presto, però, mi accorsi che quanto era avvenuto era troppo vicino, drammatico e scottante, per poterlo volontariamente rievocare, più di quanto già avveniva dentro di me inconsapevolmente. Anche perché il vuoto del mio nuovo lavoro, al Ministero di Grazia e Giustizia, accentuò sempre di più - invece che ridurla - la mia sensibilità per gli episodi vissuti.
Poi, in qualche modo che per me suonò come un fatto imprevedibile, mi accorsi che, anche dopo aver cessato di svolgere le funzioni giudiziarie, tante cose continuavano ad avvenire, intorno a me, con significati che si esprimevano solo in ragione di una contiguità con quanto mi era precedentemente accaduto.
E così continuarono minacce, solo apparentemente senza senso; così continuarono conflittualità; anzi altre ne nacquero con imprevedibile durezza.
Cercai nello studio una distrazione. Ma non la trovai.
In pochi anni errai da ufficio a ufficio, alla ricerca di qualcosa che non riuscivo a ritrovare. E cioè un mezzo per esprimere, in qualche modo, in qualsiasi modo, il mio bisogno di continuare a svolgere una attività che presentasse un significato rispetto a quello che avevo precedentemente fatto. Ed, insieme, il mio bisogno, di pagare un debito. Quel debito che avevo maturato lì, in Sicilia, a Trapani, a Pizzolungo, nell’attentato subito il 2 aprile 1985, e che, lì, non ero stato in grado di saldare.
Lasciai la magistratura nel 1990. E ciò fu la conseguenza, ultima, di qualcosa che, con la strage e quanto ne era seguito, si era già prodotto dentro di me.
Da allora sono trascorsi oltre venti anni, ed, ancora oggi, forse più che in passato, mi rendo conto di quanto sia difficile trovare quel che continuo a cercare e che nessuno ha mai nemmeno tentato... di iniziare a cercare.
Mi rendo anche conto che tante cose nelle quali mi ero imbattuto - forse in un modo sbagliato, o forse troppo in anticipo - , tante cose che avevo sfiorato, o anche solo pensato, sono frammenti della realtà di ieri e frammenti della realtà di oggi.
Tante cose che, con l'entusiasmo di un trentenne, avevo letto, studiato o intuito solo su carte processuali, oggi le vivo e le rivivo con la più realistica consapevolezza dei limiti che incontra l'autonomia del giudice quando sulla sua strada si imbatte nei centri del potere.
Fatti che si ripetono, episodi che solo dopo lunghissimi anni si chiariscono, nomi che ricompaiono. Fantasmi del passato e realtà presenti. Tra questi, ormai, si svolge la mia vita. Con difficoltà. Quella difficoltà di sentirsi troppo spesso impotente di fronte ad un sistema che ha le sue protezioni, le sue difese; un sistema che, se provi a sfiorarlo, prima ti isola, poi ti respinge, infine ti attacca, senza mezze misure. Spesso in modo indiretto. Attraverso fili sottili che non è facile scorgere. Ma che comunque, nello stesso tempo, lasciano sempre qualche traccia: talora ti frenano; altre volte ti stimolano a scoprirne altre; ti incitano, come in una partita a scacchi, a cambiare le mosse, a cercare nuove strade nella ricerca della verità e della giustizia.
Determinati fatti che ad anni di distanza hanno dato conferma a quelle indagini che non mi fu consentito di ultimare, l'assassinio di altri magistrati, i sempre più aspri conflitti tra potere politico e magistratura, nonostante il tempo trascorso e la mia, ormai, estraneità all'ordine giudiziario, mi bruciano dentro, riportandomi immagini e sensazioni che avrei voluto, forse, un tempo, dimenticare, ma che ormai, evidentemente, costituiscono parte integrante di me.
E' per questo, che, oggi, vorrei tentare, sia pur gradualmente, di ultimare, anche con riflessioni e integrazioni maturate anni ed anni dopo, questa raccolta di annotazioni, di pensieri, di racconti, di episodi, di brani di un diario virtuale. Che non contiene la semplice esposizione delle risultanze dei processi da me istruiti e nemmeno il semplice racconto delle esperienze vissute. E, soprattutto, non ha l' intenzione di indicare alcuna verità processuale.
Si tratta piuttosto di pezzetti di storia tratti da una indagine e, in pari tempo, dalla mia vita.
Dalla vita di un giudice e poi di un ex-giudice, fortunata e sfortunata, secondo i momenti e i punti di vista. Comunque della mia vita, di una indagine iniziata e non finita, delle mie avventure e disavventure, delle mie scoperte, delle mie intuizioni, dei miei molteplici conflitti, delle mie sconfitte, e di alcune inutili vittorie, vissute quando ormai era troppo tardi: episodi tutti che mi hanno profondamente coinvolto, tra ombre del presente e fantasmi del passato.
Ad alcuni potrà apparire fantasia, ad altri un incubo.
Non é l’una l’’una e nemmeno l’altro.
E’ solo l’insieme di piccoli frammenti di vita tratti da una lunga storia: nei fatti, nei tempi, nei luoghi, nei nomi, nelle vicende, pubbliche e private, narrate. Negli stessi ricordi, nei sogni, nelle percezioni di un attimo. Nei tentativi estremi di evasione da una realtà che , a volte, non è facile vivere e accettare.
Ma che è cosi.
E’ una raccolta di immagini di una inchiesta incompiuta che percorre e insegue una storia intricata, non solo riguardante il nostro Paese, sviluppatasi in oltre mezzo secolo; e, insieme, di immagini della irrequieta vita di un giudice, che, in conseguenza di quella indagine, da oltre vent'anni, non è più un giudice.
Tutto cominciò nel lontano maggio del 1979. Un giorno, un cittadino turco, un certo Assim Akkaia, si presentò alla questura di Milano e raccontò al dirigente della Mobile ‑ si trattava del dottor Enzo Portaccio, poi dirigente della Criminalpol ‑ che la città di Trento costituiva punto di congiunzione tra la mafia turca e quella siciliana. In due alberghi, il Karinall ed il Romagna ‑ appartenenti ad un trentino di origine altoatesina, Karl Kofler ‑, sarebbero stati occultati grossi quantitativi di morfina base ed eroina pura provenienti dai campi di papavero della Turchia. Di li sarebbero stati smistati in Sicilia per essere lavorati in raffinerie, e quindi immessi sul mercato in Italia e negli Stati Uniti.
A quell'epoca avevo trentadue anni e vivevo a Trento già da tre. Ero sposato con una ragazza più giovane di otto anni, Marina, e avevo una figlia di tre anni, Stefania. Come giudice di tribunale mi occupavo di civile e di penale. La mia vita era tranquilla e serena.
Nel 1980, con diffidenza dei locali organi di polizia che non credevano potesse esistere un'organizzazione mafioso nel tranquillo Trentino, iniziarono le indagini. Vennero autorizzate intercettazioni telefoniche sulle utenze di quei due alberghi e furono registrate conversazioni in varie lingue, italiano, tedesco, turco, arabo, nelle quali di tutto si parlava, dalle mele alle arance, men che di droga. Nell'autunno la Procura perquisi quei luoghi senza trovare nulla. Quindi, trasmise gli atti all'ufficio istruzione per gli eventuali ulteriori accertamenti.
In quel fascicolo non appariva nemmeno un imputato. Si trattava di una cartellina contrassegnata da un numero di registro, il 4680\80. Conteneva una trentina di paginette, un sintetico rapporto della polizia su ipotesi di traffici di droga internazionali dagli anni '60 e un complesso grafico raffigurante quasi tutti i paesi del mondo, dall'Est all'Ovest, dal Medio Oriente agli Stati Uniti, dalla Tunisia all'Olanda.
Al centro vi era Trento e, collegata a questa, la Sicilia.
Da quel giorno, tra Trento e la Sicilia si articolò la mia vita.
In quei giorni, proprio per caso, ero stato nominato giudice istruttore del tribunale di Trento.
Fu quello il primo fascicolo che studiai.
Fu quello l'unico processo che istruii, l'unica indagine che condussi, senza ultimarla.
Nel dicembre dello stesso anno vennero scoperti a Trento, Bolzano, Verona, i più grossi quantitativi di morfina base ed'eroina rinvenuti in Europa, 200 chilogrammi. Quell'organizzazione, in due anni, ne aveva importati almeno 4000. Erano tutti diretti in Sicilia.
Contemporaneamente, vicino a Palermo, il collega Giovanni Falcone ‑ che in precedenza aveva lavorato a Trapani come sostituto procuratore ‑ scopri le raffinerie di Trabia e Carini, fornite dall'organizzazione di Trento.
Venne arrestato il Kofler, il suo socio turco Arslan Hanifi, e poi numerosi altri.
Ben presto l'albergatore trentino si suicidò in carcere, o almeno così apparve.
Il turco riuscì invece poi ad evadere.
Ciò nonostante, le indagini rapidamente si allargarono impegnandomi sempre di più.
Il Kofler risultò essere in stretto contatto con mafiosi trapanesi.
Conobbi il sostituto procuratore di Trapani, Giacomo Ciaccio Montalto, il capo dell'ufficio istruzione di Palermo, Rocco Chinnici, e altri magistrati siciliani.
Cominciai a fare la spola tra Trento e la Sicilia.
Subito iniziarono le reazioni: minacce, esposti, liti con colleghi. Mi venne assegnata la scorta.
La mia vita familiare, arricchitasi con la nascita di un'altra bambina, Laura, si trasformò profondamente.
Un giorno, in coincidenza con la presenza a Trento di Giovanni Falcone, improvvisamente mi separai da mia moglie e dalle mie figlie.
Rimasto solo, mi buttai più di prima a capofitto nel lavoro.
Attraverso le indagini, ripercorsi pian piano le vie dei trafici, quasi inseguendo i miei imputati nelle strade della droga in Austria, in Germania, in Svizzera, in Iugoslavia, in Turchia, in Bulgaria... e poi in quelle dei commerci illeciti di armi raggiungendo anche l'Argentina, poco dopo la fine del conflitto con l'Inghilterra per le isole Falkland. Avevo, nel 1982, identificato l'organizzazione attraverso cui la Francia aveva fornito a quel paese, tramite canali occulti legati a logge masoniche, i micidiali missili Exocet che, appena l'anno prima, avevano affondato due cacciatorpediniere inglesi.
Individuai traffici occulti di armi e petrolio tra il nostro paese la Libia di Gheddafi, e connessioni tra i nostri servizi segreti, quelli americani ed altri, in particolare orientali, tutti collegati dal comune interesse alla vendita ed all'acquisto di armamenti.
All’inizio del 1983 venne ucciso a Trapani Ciaccio Montalto.
Pochi mesi dopo, a Palermo, saltò in aria con un'auto-bomba Chinnici e il suo agente di scorta.
Nel giugno di quell'anno, mentre svolgevo delicate indagini sui nostri servizi di sicurezza e sulle connessioni segrete legate all’attentato al Papa, a seguito di segnalazioni anonime sapientemente inviatemi, sequestrai documenti scottanti che chiamavano in causa l'onorevole Bettino Craxi, da poco nominato presidente del Consiglio Iniziai a svolgere accertamente sul Psi.
Le reazioni furono durissime.
Nel dicembre dello stesso anno, in ccasione di perquisizioni e sequestri di documenti su una società finanziaria di proprietà del partito, il presidente Craxi si rivolse al Procuratore Generale della Cassazione, che intervenne immediatamente nei miei confronti.
I provvedimenti che avevo emesso mi vennero restituiti non eseguiti, l'indagine venne bloccata, io venni posto sotto procedimento disciplinare e penale per abusi vari, e, innanzi tutto, per aver omesso di inviare una "comunicazione giudiziaria" al Presidente del Consiglio, pur avendo svolto attività istruttorie che lo riguardavano.
Ciò nonostante, le indagini, ormai in stato avanzato, proseguirvano quasi da sole…
Anche se non muovevo più un dito, polizia, carabinieri, finanza, investigatori di tutto il mondo, dal Pakistan alla Turchia, dal Canada all'Australia, mi trasmettevano notizie e informazioni.
Nel luglio del 1984, in presenza di una pressione elevatissima nei miei confronti, denunciai Craxi alla Commissione inquirente per il reato di finanziamento illecito al Psi e connessi aspetti legati a traffici di armi. Vi figuravano personaggi noti, come Lagorio, De Michelis, Pillitteri, e altri, allora meno noti, quali Mach di Palmestein, Larini, Rezzonico.
Il 20 novembre dello stesso anno, su richiesta del Procuratore Generale della Cassazione, le Sezioni Unite della Suprema Corte mi tolsero tutte le carte del processo: tutti i miei colleghi di Trento avevano manifestato pubblicamente solidarietà nei miei confronti. Questa circostanza consenti alla Cassazione di affermare che né io né altri giudici del Tribunale eravamo più "attendibili” e "imparziali". Accogliendo un'istanza proposta in tutto segreto da imputati, avvocati e dallo stesso Procuratore generale della Corte d'Appello di Trento, dott. Adalberto Capriotti - solo recentemente divenuto più noto, per altri strani fatti - la Cassazione spostò a Venezia tutte le inchieste da me condotte.
Il fascicolo conteneva allora oltre trecentomila carte processuali, frutto di quattro anni di lavoro a tempo pieno.
Tredici giorni dopo, il 3 novembre, firmai una domanda di trasferimento per la Procura della Repubblica di Trapani.
Presi servizio il seguente 17 febbraio 1985.
Il mio primo atto, in quella nuova sede, fu la trasmissione alla magistratura di Venezia di alcuni documenti di cui ero appena venuto in possesso. Riguardavano la fornitura alla Libia di tre containers contenenti materiale elettronico rigenerato, ... tre piccole bombe atomiche! Curava la transazione un libanese residente a Parigi, un certo Antony Gabriel Tannoury, noto come braccio destro di Gheddafi.
Nei confronti di questi avevo emesso nel 1983 l'ultimo, ordine di cattura come giudice istruttore di Trento.
Il successivo 2 aprile vi fu l'attentato di Pizzolungo.
Due gemellini di otto anni e la loro mamma rimasero dilaniati al posto mio.
Trenta giorni dopo, venne scoperto ad Alcamo, vicino a Trapani, la raffineria di morfina‑base più grande d'Europa.
Era rifornita dalla stessa organizzazione turca che cinque anni prima avevo individuato nell'inchiesta di Trento.
Alla fine del 1985, dopo mesi di vita blindata trascorsa nell’interno del palazzo di giustizia e minacce di morte rivolte anche alle mie figlie che vivevano ad Ancona, lasciai la Sicilia e la magistratura attiva.
Mi trasferii a Roma e iniziai a lavorare, fuori ruolo, presso il ministero di Grazia e Giustizia.
Abbandonai ogni mia ricerca, tentando di dimenticare.
Continuarono però le minacce e vennero posti in essere altri gravi atti di intimidazione, quasi inspiegabili con la cessazione di ogni mia attività.
Anche le mie carte, ormai, erano troppo lontane, materialmente e psicologicamente, da ogni mia possibilità di ulteriore approfondimento.
Nel 1986, a Trapani, dietro un apparentemente innocuo Centro Studi, la polizia scoprì logge massoniche coperte, punto d’'incontro di massoni, templari, politici, e anche di quei mafiosi indiziati di aver partecipato al mio attentato. In quella stessa sede, operava un'altra organizzazione, la Associazione Musulmani d'Italia. Il suo presidente figurava come “sostituto" in Sicilia del colonnello libico Gheddafi.
Ma tutto ciò avrei dovuto scoprirlo dopo molti anni.
Frattanto i miei imputati di traffici di stupefacenti vennero condannati a pene molto severe, sino a 29 anni di reclusione; quelli imputati di traffici di armi, vennero invece tutti assolti in secondo grado, dalla Corte d'Appello di Venezia.
Anch’io venni assolto da ogni addebito penale.
In sede disciplinare il Consiglio superiore della magistratura mi condannò in un primo momento alla "perdita di sei mesi di anzianità". Questa pena venne però annullata dalla Cassazione. Il Consiglio superiore mi condannò allora alla pena del semplice "ammonimento". La Cassazione rimise poi gli atti alla Corte Costituzionale. Questa infine sentenziò che il Consiglio superiore aveva commesso atti illegittimi nei miei confronti.
Dopo lunghi periodi di malattia, sempre trascorsi tra continue minacce e un servizio di vigilanza e scorta ininterrotto, 24 ore su 24, all'inizio del 1990, cessai di essere un giudice. Venni dispensato dal servizio, con il mio consenso, per infermità conseguenti all'episodio di Trapani: una lesione cerebrale al labirinto destro con contrazione della funzione dell'equilibrio, la perdita quasi totale dell'udito all'orecchio destro, il timore ossessivo di un altro attentato, i sensi di colpa per le vittime, e altri svariati danni fisici.
Qualche mese dopo, il professor Luigi Cancrini mi propose di candidarmi nella Sinistra Indipendente del nuovo Pci, per le elezioni del Consiglio Regionale del Lazio. Venni eletto. L’anno dopo mi dimisi.
Nel 1992 mi candidai con il movimento per la Democrazia "La Rete" alle elezioni per la Camera dei deputati. Venni eletto.
Nel febbraio di quell’anno, a Milano fu arrestato Mario Chiesa.
Scattarano le inchieste "Mani pulite".
Poco dopo, a Palermo venne ucciso Salvo Lima.
Poi, scoccò l’ora di Falcone e Borsellino.
Le immagini del presente e del passato occuparono sempre più la mie mente.
Nel settembre ritornai in Sicilia dopo sette anni di assenza.
Ripresi a cercare tra i documenti delle inchieste di Trapani e quelli della vecchia indagine di Trento.
Chiesi la riapertura di vecchi processi.
Tornai ancora una volta ad abitare a Trento.
Formulai mie ipotesi su connessioni occulte nelle stragi di mafia.
Si riacutizzarono veccie ostilità nei miei confronti. Se ne aprirono di nuove.
I nostri Servizi iniziarono a stilare rapporti segreti su di me, anche nel dossier “ Achille” , un fascicolo contenente informazioni riservate e ufficialmente non autorizzate, riguardanti magistrati scomodi.
Mi pervennero nuove minacce di attentati. Altre scorte vennero aggiunte a quelle già esistenti.
In silenzio, sbandato nei miei affetti, continuai a cercare qui e li, senza pubblicità e clamore, rincorrendo vecchie carte e atti di nuove inchieste, in uffici giudiziari e palazzi del potere d’Italia e di altri paesi dall’Ovest all’Est, da Trapani a Liegi , da Washington a Mosca, tra storie di arabi e servizi segreti, tra personaggi al centro della nostra storia, dal dopoguerra sino ad oggi, da Bin Laden a Saddam, dall'Egitto di Gheddafi ai condottieri della Siria o dell'Iran, tra piccole scoperte, conferme, delusioni, ricordi, ombre, sogni… inseguendo e sfuggendo me stesso.
Nei miei ossessivi tentativi di ricerca della verità, e insieme di evasione dalla realtà, non ho mai potuto distaccarmi da quell'attentato subito a Trapani, che aveva diviso in due la mia vita. Ma avrebbe dovuto concluderla.
Il 2 aprile 1985, a Pizzolungo.
Otto giorni prima che, in una sontuosa aula di un noto palazzo romano del Senato, avvenisse la discussione sulla mia denuncia contro il presidente del Consiglio in carica, Bettino Craxi, da taluno quasi "innominato" o "intangibile", nelle conversazioni tratte dai resoconti ufficiali della discussione di quei giorni, vissuti da me in un lettino d’ospedale e da altri innocenti, che si erano trovati occasionalmente sulla mia strada, in una tomba.
Perché scegliere quel 2 aprile, proprio mentre a Roma la Commissione inquirente doveva decidere sulla richiesta di archiviazione della mia denuncia contro Craxi, e contemporaneamente, nel procedimento disciplinare pendente contro di me su esplicita richiesta del presidente del Consiglio? Perché scegliere cosí in fretta quel giorno?
La vita dell'uomo non vale almeno un perché?
Pubblicata da Carlo Palermo il 27 dicembre 2011 alle ore 19.26
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